Pfizer liberi la licenza e consenta a tutti di produrre il vaccino anti-Covid.” Ogni cittadino canadese ha a disposizione 5 dosi di vaccino contro il Covid. Solo un cittadino kenyota su dieci, invece, potrà vaccinarsi.

Una diseguaglianza inaccettabile sul piano etico e sanitario. Per questo condividiamo con forza le parole di Gino Strada, che chiede che il vaccino sia davvero un bene per tutte e per tutti.

Oggi, infatti, non è così: il 53% dei vaccini è nelle mani delle nazioni più ricche, in cui è presente appena il 14% della popolazione mondiale. Ma la lotta contro il Covid non può essere vinta solo da chi se lo può permettere. E se la pandemia è globale, globale deve essere la risposta. Adesso, non tra due, tre o quattro anni.

Chiediamo, pertanto, che i vaccini siano esenti da qualsiasi diritto di brevetto di proprietà: che diventino, insomma, un bene comune. Solo la cooperazione, la condivisione e la solidarietà ci permetteranno di sconfiggere per davvero il virus.

Chiara Braga

“Il piano vaccinale anti-Covid di Regione Lombardia prevede che sia il cittadino a doversi muovere verso grandi hub vaccinali, spesso lontani, per la propria dose. La realtà è che per una maggiore efficienza e rapidità, le dosi di vaccino dovrebbero raggiungere il cittadino in micro-hub territoriali in grado di servire la popolazione in maniera capillare. La crisi covid ha rivelato tutti i danni della centralizzazione sanitaria. È ora di mettere in pratica le lezioni imparate durante la pandemia e implementare finalmente quella sanità di territorio che è mancata” dichiara Angelo Orsenigo, consigliere regionale del Partito Democratico.

“Parlando di territori, i nostri sindaci, durante la prima e seconda ondata, hanno messo in campo delle ottime iniziative per l’esecuzione di tamponi in palestre ed edifici pubblici. Perché non replicare questa esperienza di successo, coinvolgendo le associazioni di volontariato locali per il trasporto delle persone più fragili da vaccinare e usando anche le sedi elettorali, nei weekend in cui non sono frequentate dagli studenti, per somministrare in modo razionale e su chiamata?” continua il consigliere dem, ricordando la proposta  dell’ingegnere Luca Cozzi, coordinatore della Protezione civile di Mozzate e Comuni associati.

“Puntare solo sui grandi poli vaccinali sarebbe un errore, Regione Lombardia costringerebbe le persone a muoversi per decine di chilometri in luoghi in cui gli assembramenti sono molto probabili. Uno sforzo difficile se non pericoloso per i tanti pazienti anziani, target principale della fase 2, o quelli fragili”.

“È un bene che Regione Lombardia abbia trovato l’accordo con le farmacie e i medici di base. Con il loro aiuto verranno fatti grandi passi avanti – conclude Orsenigo, primo a proporre il coinvolgimento dei farmacisti nella campagna anti-Covid – ma per l’inoculazione di massa dobbiamo rendere le vaccinazioni ancora più capillari e a portata di cittadino. Accentrare è un errore che non possiamo permetterci di ripetere”.

“Dobbiamo continuare a sostenere i bar e ristoranti della nostra città che stanno ancora risentendo del durissimo colpo inferto dal lockdown: il Comune di Como provveda ad estendere l’esenzione della tassa di occupazione di suolo pubblico oltre il 31 ottobre e pensi a una proroga anche per il 2021” così dichiara Tommaso Legnani, segretario cittadino del Partito Democratico di Como. 

“Nel Decreto agosto è già prevista una proroga dell’esenzione Tosap fino al 31 dicembre, Il Comune di Como oltre a recepire la proroga, come fatto dal sindaco di Milano, Beppe Sala, dovrebbe pensare a sgravare gli esercenti dalla tassa anche nel 2021. Inoltre, visto che andiamo verso la stagione fredda, si pensi anche a uno snellimento delle procedure per il rilascio dei permessi per la posa di “funghi” per il riscaldamento esterno”.

“Permettere l’utilizzo di spazi all’aperto non solo sostiene chi tra i proprietari di bar e ristoranti ha visto il proprio volume d’affari ridursi drasticamente, mettendo a rischio anche il tessuto economico comasco e la stabilità dei bilanci di famiglie dei lavoratori. L’uso gratuito dello spazio pubblico permette anche il distanziamento sociale e, in definitiva, tutela la sicurezza e la salute della cittadinanza” conclude Legnani.

Di Agnese Rapicetta su Immagina.eu

Mancano pochissimi giorni alla riaperture della scuole. Il 14 settembre è ormai diventata una data fatidica che tutti aspettano con ansia, con un po’ di emozione e anche un certo di carico di preoccupazione. Perché quello che abbiamo imparato in questi mesi di chiusura, forse per la prima volta in maniera davvero concreta, è che la scuola è un’istituzione di cui non possiamo fare davvero a meno. Ma che scuola sarà la scuola di domani? Ne abbiamo parlato con Anna Ascani, viceministra dell’Istruzione, che sul palco dei dibattiti della Festa dell’Unità nazionale di Modena, si è confrontata su questo tema.

Ormai si fa il conto ala rovescia e non tutti i problemi sembrano essere risolti: siamo davvero pronti a ripartire in sicurezza?

“Credo che bisogna essere realisti e ammettere che delle criticità ci sono ma sarebbe ingeneroso dire che non si è fatto niente per farci trovare pronti per la ripartenza. Ci siamo mossi da subito e, appena abbiamo saputo che dovevamo garantire il distanziamento in classe, abbiamo stanziato i fondi per l’edilizia leggera e fondi per comprare arredi. In più abbiamo investito 3 miliardi per assumere circa 70mila tra docenti e personali ATA. Arriveranno poi ogni giorno nelle scuole mascherine e gel igienizzante. Ovviamente questo non vuol dire che c’è un rischio zero, in questo momento non siamo nelle condizioni di garantirlo. Molto dipende dalla responsabilità di ciascuno di noi nel rispettare le nuove regole. È tutto nuovo e non è semplice ma io credo che la scuola ci sorprenderà in positivo. Ma ora le scuole devono riaprire, sono state chiuse per troppo tempo”.

Fra non molto, con il Recovery Plan, il governo avrà a disposizione molti soldi per innovare la scuola: un’occasione più unica che rara?

“Proprio oggi (ieri n.d.r.) ho partecipazione al Comitato Interministeriale per gli Affari europei per definire le linee guida sul Recovery Plan ed è ovvio che il futuro del Paese e dell’Europa non può che passare attraverso un forte investimento sull’istruzione. Non siamo ancora in grado di entrare nel dettaglio ma sicuramente una parte consistente dei fondi stanziati, sarà destinato alle infrastrutture scolastiche che, come sappiamo bene, incidono anche sulla qualità della didattica”.

Negli ultimi mesi si è parlato tanto di scuola, forse come non era mai successo prima, quello che vi chiedono tutti è di continuare a parlarne per migliorare davvero le cose e in maniera definitiva.

“Ovviamente mi auguro anche io che la scuola resti al centro del dibattito pubblico. In questi giorni se ne parla molto, c’è tanta ansia da parte delle famiglie, degli studenti e anche del personale docente. Però, superata questa ansia, dobbiamo essere capaci di trattenere questa energia positiva e la capacità che abbiamo avuto di dire al Paese quanto è importante la scuola. Per noi la vera sfida inizia dal 15 di settembre e continua fino alla Legge di bilancio e alla pianificazione delle spese del Recovery Fund. Lì ci misureranno davvero e misureranno le nostre capacità di essere conseguenti alle cose che abbiamo detto fin ora”.

Distanziamento, mascherine, infrastrutture: lei quando è stata nominata Viceministro se lo sarebbe mai aspettato che avrebbe dovuto gestire una situazione del genere?

“Decisamente no. Non mi aspettavo di dover vivere la scelta più dolorosa di tutte: quella di chiudere la scuola. Adesso è difficile riaprire ma è stato molto più difficile chiudere. Abbiamo a che fare con un’emergenza inaspettata, imprevista, complicata ma se impareremo qualcosa da questa situazione, anche tutta la sofferenza che abbiamo vissuto sarà servita a qualcosa”.

(Milano, 20 settembre 2020) – Tempo fa, il consigliere regionale del PD, Pietro Bussolati, era stato in un magazzino di proprietà della Fondazione Fiera di Milano in cui erano stipate, inutilizzate, 18 milioni di cosiddette “mascherine-pannolino” ordinate lo scorso marzo, in piena emergenza Covid, da Regione Lombardia e fatte produrre dall’azienda Fippi di Rho per sopperire alla carenza di dispositivi di protezione individuale da distrstribuire agli operatori sanitari nei vari presidi territoriali lombardi.

Costo dell’operazione 8,1milioni di euro, spesi da Aria Spa, la partecipata della Regione, che è centrale unica degli acquisti.

Quelle mascherine però – come ci ha svelato Bussolati – non sono mai state distribuite perché considerate inadatte per proteggere gli operatori sanitari. Sul caso è stata aperta anche un’inchiesta giudiziaria per truffa.

Oggi apprendiamo da un articolo pubblicato su La Stampa, non senza un certo stupore, che la Giunta Fontana tre giorni fa, esattamente il 7 di settembre, ha approvato due delibere che consetono di donare parte di quelle mascherine pannolino, scartate dai dipendenti ospedalieri perchè inadeguate e inutilizzabili, al Kazakistan.

Regione Lombardia si vergogna talmente di distribuire al personale sanitario italiano le mascherine pannolino, vanto di un tempo, da cercare di spedirle altrove, persino regalandone un milione e mezzo al Kazakistan.

Ma alla beffa c’è da pagare, letteralmente, il danno. Sì perchè per donare queste improponibili mascherine pannolino al Kazakistan occorre che Regione Lombardia le riparghi di nuovo alla sua partecipata, Aria Spa.

Costo complessivo 823.500 euro per 1,5 milioni di pezzi (0,45 + Iva) da far valere sul capitolo del bilancio 2020 “Acquisto di beni per aiuti umanitari internazionali“.

C’è di che arrabbiarsi per questa ennesima presa in giro. I lombardi non la prenderanno bene e forse, se sapessero, anche i kazaki.

Chiara Braga

di Brando Benifei da Immagina.eu

Dopo la lunga e difficile fase dell’emergenza sanitaria, sempre a rischio di riprendere spinta come vediamo dai dati di questi giorni, oggi sulle nostre economie gravano gli effetti pesantissimi della pandemia. In questo scenario, è fondamentale agire in maniera coordinata in Europa per programmare una ripresa organica, aiutando i settori più in difficoltà.

Per questo, la notizia che la Commissione europea con lo strumento SURE, la “cassa integrazione europea”, arriva a proporre uno stanziamento per il nostro Paese di 27,4 miliardi di euro, rappresenta un segnale incoraggiante per l’Italia, uno degli Stati membri che più aveva bisogno di maggiore solidarietà europea.

SURE, il Supporto Temporaneo per Mitigare il Rischio di Disoccupazione in Emergenza, nasce come uno strumento finanziario di natura temporanea per proteggere l’occupazione in UE, utilizzabile in tempi rapidi e in aggiunta ai programmi già varati a livello nazionale, rinforzando le azioni intraprese dai singoli Paesi. È stato uno dei primi strumenti comunitari a essere messi in campo in risposta alla pandemia. Da subito è stato chiaro che ci trovavamo di fronte a una scelta storica: la sua introduzione è importante non solo in risposta alla crisi da coronavirus, ma ha anche un enorme significato politico per il futuro dell’Europa, dato che per la prima volta è stato varato uno strumento finanziario a tutela dell’occupazione nei 27 Paesi. 

In effetti, il coronavirus, pur nella drammaticità dell’emergenza, ci ha dato l’opportunità di ripensare la solidarietà europea. Le novità che abbiamo introdotto, iniziate con SURE e culminate con il Recovery Fund, che prevede obbligazioni garantite dal bilancio UE, sono destinate a cambiare radicalmente il modo in cui pensiamo all’intervento europeo, basti pensare ad esempio che anche grazie a SURE diventa più facile pensare di introdurre un sussidio europeo contro la disoccupazione, come chiediamo da tempo come Partito Democratico. 

In un momento critico per l’UE, le misure prese hanno gettato le basi per un rilancio della coesione e della dimensione sociale dell’Unione. I 27,4 miliardi stanziati per l’Italia sono una cifra considerevole, e rappresentano l’importo maggiore fra quelli assegnati ai diversi Stati membri. Si tratta di una cifra che permetterà di aiutare in maniera rilevante le realtà più in difficoltà, sostenendo misure che vanno dalla cassa integrazione per tutti i lavoratori dipendenti alle indennità per i lavoratori autonomi di vario tipo, i collaboratori sportivi, i lavoratori domestici e quelli intermittenti, dal fondo perduto per autonomi e imprese individuali al congedo parentale, dal voucher baby sitter alle misure per i disabili e quelle per i tirocinanti e gli apprendisti, solo parzialmente tutelati dalle misure nazionali di aiuto finora varate. Si prevede, inoltre, un risparmio per le casse dello Stato di oltre 5 miliardi e mezzo di euro nell’arco dei 15 anni di maturità dei titoli. 

È chiaro, però, che la partita non si chiude qui. Le negoziazioni per il Fondo per la Ripresa hanno mostrato chiaramente che ora è tempo di riformare l’Europa, introducendo forme di welfare UE sempre più strutturate e onnicomprensive, finanziate attraverso un sistema di risorse proprie e una fiscalità europea che metta l’Unione in condizione di agire in autonomia, senza essere schiava di particolarismi nazionali. Superare il modello intergovernativo, infatti, è sempre più fondamentale se si vuole davvero dotare l’UE degli strumenti adatti a porsi come un soggetto politico sovranazionale autonomo. Con SURE e con la creazione di debito comune europeo prevista dal Recovery Fund abbiamo fatto un enorme passo avanti, che devo diventare permanente e non temporaneo.

Dobbiamo continuare a cambiare l’Europa per renderla adeguata e pronta alle sfide sempre più complesse che il mondo ci ha posto e continuerà a porci.

Sono stati mesi duri, durissimi dove l’inimmaginabile ci ha travolto tutti sbalzandoci in una dimensione sospesa del tempo, quasi surreale, dove la lotta contro il Covid19, la fatica e il sacrificio in quelle settimane interminabili di emergenza struggente sono stati impari. Lo hanno compreso e provato alla svelta i medici e gli operatori sanitari impegnati a combattere questo tragico invisibile nemico, a curare i malati intubati isolati e soli.

Lo avrà certamente provato Javier Chunga, l’infermiere della terapia intensiva dell’Ospedale Valduce di Como, che infettato dal covid mentre assisteva i pazienti in reparto, dopo tre mesi di ventilazione artificiale, ci ha lasciato ieri, in una calda giornata d’estate, quasi senza fare rumore.

I morti – scriveva Ungaretti – “Hanno l’impercettibile sussurro, non fanno più rumore del crescere dell’erba”. Oggi noi quell’”impercettibile sussurro” vogliamo e ci permettiamo di coglierlo.

Grazie Javiergrazie ai tanti medici e infermieri che hanno perso la vita in questa tragedia collettiva non ancora terminata. A te e tutti coloro che hanno incontrato la morte per dare cure agli altri in una missione di vera umanità va tutto il nostro cordoglio, il nostro rispetto, la nostra profonda riconoscenza.

Chiara Braga

“Regione Lombardia accantona le donazioni fatte dai lombardi durante l’emergenza Covid-19. Verranno utilizzate per rafforzare la sanità lombarda in vista di una seconda ondata epidemica? Da Regione servono certezze” così dichiara il consigliere regionale del Partito Democratico, Angelo Orsenigo. 

“Grazie a un’interrogazione presentata dal Partito Democratico all’assessorato al Welfare abbiamo potuto apprendere che i fondi donati durante la fase acuta della pandemia ammontano a circa 185 milioni di euro. Questa cifra copre le donazioni effettuate sia attraverso i conti correnti messi a disposizione dalla Regione (53 milioni circa) e tramite i conti correnti delle diverse ATS, ASST e IRCCS più donazioni di beni, (quasi 132 milioni). Dei quasi 53 milioni donati direttamente al conto della Regione, ben 25 milioni di euro avevano come destinazione prescelta dal donatore l’ospedale Covid realizzato in Fiera, ma non essendo tali risorse necessarie in quanto la fondazione Fiera ha provveduto autonomamente mediante raccolta fondi propri alla realizzazione della struttura. Si legge nella risposta dell’assessorato: “le donazioni destinate a tale struttura verranno utilizzate, previa autorizzazione dei donatori, per ulteriori iniziative legate all’emergenza”.

“La quantità di denaro raccolto dimostra senz’altro la generosità dei lombardi che mossi da un fortissimo spirito di solidarietà hanno fatto di tutto per aiutare i propri concittadini. Ma dalle informazioni che abbiamo ottenuto, questi soldi non sono ancora stati spesi e, stando a quanto stabilito in assestamento di Bilancio 2020, i proventi delle donazioni potrebbero essere utilizzati “per fronteggiare le conseguenze sociali ed economiche dell’emergenza epidemiologica da COVID-19” anziché messe a disposizione per risolvere le evidenti criticità del sistema sanitario lombardo in vista di una seconda ondata di Coronavirus in autunno. Di fatto, questo passaggio la giunta avoca a sé la gestione di queste risorse, che non entreranno nel bilancio regionale”.

“È grave che in Regione Lombardia non ci sia trasparenza su come vengono utilizzate le risorse donate. C’è una questione di fiducia che le istituzioni devono meritare da parte dei cittadini, che hanno diritto di sapere come vengono spesi i loro soldi. Siamo stati in piena emergenza e ancora non ne siamo fuori ma oggi sappiamo che ci sono 180 milioni di euro di donazioni effettuate in denaro (al netto di quelle fatte agli ospedali) che non sappiamo come verranno utilizzati, ma di cui nella fase uno c’è stato grande bisogno. Chiediamo chiarezza e soprattutto una seria programmazione di interventi per rafforzare la sanità lombarda”.

di Agnese Rapicetta su Immagina.eu

Sono state le prime a chiudere e saranno le ultime a riaprire. Ma la posta in gioco era troppo alta per rischiare di ripartire senza le dovute garanzie. Oggi questo momento sembra essere arrivato con la firma del Protocollo sicurezza. Un momento che è stato definito “storico” perché si sono delineati le linee guida per la scuola di domani. Una scuola che aveva un presupposto ben preciso: superare le norme del 2008 firmate dall’allora ministro Gelmini che avevano portato ai tagli e all’innalzamento del numero di alunni per classe. Con la firma del Protocollo si investe, finalmente, sulla scuola e si danno delle regole precise per gli istituti e le famiglie.

“Il Protocollo Nazionale della Sicurezza – sottolineano soddisfatti i sindacati riuniti – rappresenta un passaggio importante che i dirigenti scolastici e le scuole attendono per organizzare la ripresa delle attività in presenza, obiettivo per il quale i sindacati si sono impegnati a fondo conducendo col Ministero un confronto serrato e complesso. Con la firma si porta a compimento un impegno assunto esplicitamente già in occasione della firma del protocollo riguardante lo svolgimento degli esami di stato: le scuole possono ora disporre di un chiaro punto di riferimento su tutti i temi già portati all’attenzione del CTS, il che costituisce un concreto supporto al lavoro in atto per definire le necessarie modalità organizzative”. 

Quali sono le novità?

Dall’help desk alle modalità di ingresso e uscita, dall’igienizzazione degli spazi alle certificazioni mediche, i plessi scolastici dovranno adeguarsi alle nuove normative.

Leggi qui il testo del Protocollo

Si istituisce l’Help Desk – Dal 24 agosto sarà attivo un numero verde 800903080 per le scuole per raccogliere quesiti e segnalazioni sull’applicazione delle misure di sicurezza, dal lunedì al sabato, dalle 9 alle 13 e dalle 14 alle 18. Ci sarà, poi, un Tavolo nazionale permanente composto da rappresentanti del Ministero dell’Istruzione e del Ministero della Salute, delle Organizzazioni sindacali firmatarie del Protocollo per gestire le criticità e monitorare l’andamento della situazione. In parallelo, ci saranno Tavoli di monitoraggio anche presso gli Uffici Scolastici Regionali. Le scuole saranno supportate dal Ministero nella gestione delle risorse legate all’emergenza con un’apposita assistenza amministrativa.

In caso di febbre si sta a casa – Il documento ribadisce l’obbligo di rimanere a casa in presenza di temperatura oltre i 37,5° o altri sintomi influenzali e di chiamare il proprio medico di famiglia e l’autorità sanitaria. E sottolinea il divieto di permanere nei locali scolastici nel caso in cui, anche successivamente all’ingresso, sussistano le condizioni di pericolo (ad esempio sintomi simil-influenzali, temperatura che sale oltre 37,5°) stabilite dalle Autorità sanitarie competenti. Ribadito l’obbligo di rispettare le disposizioni di sicurezza, come il distanziamento fisico di un metro e le regole di igiene.

Regolare gli ingressi a scuola – Ingressi e uscite saranno differenziati. Le istituzioni scolastiche comunicheranno a insegnanti, studenti, personale scolastico e a chiunque debba entrare nell’istituto le regole da rispettare per evitare assembramenti con un’opportuna segnaletica e con una campagna di informazione. Sarà limitato l’accesso a visitatori ed esterni. L’eventuale ingresso del personale e degli studenti già risultati positivi all’infezione da COVID-19 deve essere preceduto da una preventiva comunicazione con la certificazione medica da cui risulti la ‘avvenuta negativizzazione’ del tampone secondo le modalità previste e rilasciata dal Dipartimento di prevenzione territoriale di competenza.

Pulizia dei locali – Sarà necessario assicurare la pulizia giornaliera e l’igienizzazione periodica di tutti gli ambienti, predisponendo un cronoprogramma ben definito. Qualora le attività didattiche si svolgano in locali esterni all’Istituto scolastico, gli Enti locali e/o i proprietari dei locali dovranno certificarne l’idoneità, in termini di sicurezza e, con specifica convenzione, dovranno essere definite le responsabilità delle pulizie e della sorveglianza di detti locali e dei piani di sicurezza.

L’uso delle mascherine – Sarà obbligatorio per chiunque entri negli ambienti scolastici, adottare precauzioni igieniche e utilizzare le mascherine. Il Comitato Tecnico Scientifico per l’emergenza (CTS) si esprimerà nell’ultima settimana di agosto sull’obbligo di utilizzo di mascherina da parte degli studenti con età superiore a 6 anni. Per chi ha meno di 6 anni è già previsto che non si debba utilizzarla.

Supporto ai ragazzi – Sulla base di un’apposita convenzione tra Ministero dell’Istruzione e Consiglio Nazionale Ordine Psicologi saranno promosse attività di sostegno psicologico per fare fronte a situazioni di insicurezza, stress, timore di contagio, difficoltà di concentrazione, situazione di isolamento vissuta.

Come gestire i contagi – Nel caso in cui una persona presente a scuola sviluppi febbre e/o sintomi di infezione respiratoria si dovrà procedere al suo isolamento in base alle disposizioni dell’autorità sanitaria e provvedere quanto prima al ritorno presso il domicilio per poi seguire il percorso medico previsto. Per i casi confermati le azioni successive saranno definite dal Dipartimento di prevenzione territoriale competente, sia per le misure di quarantena da adottare, previste dalla norma, sia per la riammissione a scuola secondo l’iter previsto dalle regole vigenti. Sarà istituito un sistema di raccordo tra sistema scolastico e sistema sanitario nazionale per supportare le Istituzioni scolastiche, attivare un efficace sistema contact tracing (tracciamento delle persone venute a contatto con dei contagiati) e dare risposte immediata in caso di criticità. In collaborazione con il Ministero della Salute e il Commissario straordinario si darà l’opportunità a tutto il personale del sistema scolastico statale e paritario, incluso il personale supplente, di svolgere test diagnostici in concomitanza con l’inizio delle attività didattiche.

Le istituzioni